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lunedì 21 marzo 2016

Sei Nazioni 2016, bilancio totalmente negativo?

Si legge dell'ultimo Sei Nazioni solo in termini catastrofici. Perfino incompetenti giornalisti e giornali, che normalmente riservano un trafiletto in ultima al rugby, si lanciano in inchieste e giudizi da fine del mondo.
Naturalmente non c'è da essere entusiasti: ultimi, battuti nei risultati e nel gioco da (quasi) tutti.
Ma...
Lasciamo da parte chi sbraita per ragioni politiche, i professionisti della guerriglia. Poi lasciamo da parte i giornalai che vivono di polemiche e poco altro. E lasciamo anche da parte i campanili, dai quali si suonano rintocchi a lutto anche quando si vince, figuriamoci se si perde. Infine, lasciamo da parte i giudizi pararazzisti degli opinionisti anglofrancesi, secondo i quali la presenza italiana nel Sei Nazioni è meno giustificata di quella rumena o georgiana (mah, li vorrei vedere...).
Concentriamoci sul quid.
Con la Francia abbiamo giocato alla pari tutta la partita e perso per un pelo (ingenuità nostra, errore dell'arbitro, piede perfetto del calciatore francese). Con l'Inghilterra abbiamo giocato alla pari 60 minuti, poi siamo crollati per ragioni nervose /fisiche. Idem con la Scozia, con l'aggravante che abbiamo cominciato in salita e non siamo riusciti a scuoterci (ma la Scozia di quest'anno è forte, ragazzi!). Il crollo vero è avvenuto con Irlanda e Galles, quando ormai il vento soffiava potente contro la nostra nazionale: infortuni, soprattutto, ma anche gufi neri appollaiati ovunque e autostima sotto i tacchi.
Siamo sicuri che sia stata la tragedia nazionale di cui tutti farneticano? Non è che rientra nel gioco delle cose che si facciano due o tre anni buoni e due o tre anni meno buoni? E siamo consapevoli che per la nostra nazionale due o tre anni buoni vogliono dire finire davanti alla Scozia e giocarsela con un paio di altre, non vincere il Sei Nazioni?
Come movimento ondeggiamo tra il quinto e il sesto posto in Europa, tra il decimo e il 15 nel mondo. E siccome nel rugby non si bluffa, lì stiamo!
Non criminalizziamo i ragazzi vestiti di azzurro: quest'anno la sfiga si è accanita, con gli infortuni (con il Galles avevamo fuori 15 giocatori potenzialmente titolari) e quant'altro.
Piuttosto, capiamoci meglio su stato delle cose, obiettivi, metodi  e tempi (e in questo la federazione potrebbe fare  un lavoro di comunicazione migliore): non si annullano gap pluridecennali in poco tempo, neanche iniettando valanghe di soldi nel movimento. Ci vuole tempo, progettazione e pazienza. Con la consapevolezza che ci vuole un'Italian way of rugby che ancora non è stata individuata: una strada che molto ha a che fare con lo sport, ma molto ha a che fare anche con la nostra mentalità e non può prescindere dalla nostra storia.

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