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venerdì 8 aprile 2016

Proposte ragionevoli per la crescita del rugby europeo

Un'interessante riflessione letta sul blog Ilneroilrugby di ieri: mentre il SuperRugby - emisfero sud - si allarga alle squadre argentine e giapponesi, ai quarti di finale della Champions Cup europea sono arrivate 5 squadre inglesi e tre francesi: niente scozzesi, niente irlandesi, niente gallesi, niente italiane, e non è una bella cosa.
Due noiose tiritere lette sul Telegraph e su The Rugby Blog: sostituiamo l'Italia con la Georgia nel Sei Nazioni, e retrocediamo i club italiani in Challenge perché sono troppo scarsi.
Due accettabili opinioni lette su PlanetRugby e TotalFranker: se proprio si vuole promuovere la Georgia e incentivare l'apertura a est del rugby europeo, apriamo il Sei nazioni alla settima nazione, magari passando attraverso una fase in cui si propongono alla Georgia test match autunnali con le nazionali migliori in modo da portarla progressivamente al giusto livello.
Riassunto (a mio modo di vedere): mentre i giornali inglesi e i dirigenti francesi tentano di affossare gli investimenti italiani nel grande rugby, gli stessi glissano amabilmente sul progressivo impoverimento del panorama dei club di vertice, ormai limitato alle società più ricche, cioè a tre francesi e a cinque inglesi. Come mai tutta sta' preoccupazione per i cattivi risultati delle squadre italiane e nessun accenno all'altro, ben più grave, problema? Perché nessuno propone alla federazione georgiana di creare una franchigia che partecipi a qualche competizione europea - come le Zebre e Treviso - prima di parlare di un Sette Nazioni che richiede investimenti ben maggiori e un bacino televisivo che la Georgia probabilmente non può garantire? Oppure perché non si pensa a un sistema di controllo degli investimenti dei club - un salary cap come nell'NBA o una sorta di fair play finanziario come nel calcio - in modo da riequilibrare le competizioni e dare ossigeno ai club minori? Una vecchia pubblicità diceva: meditate, gente, meditate...

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